1 - Musica e Religiosità popolare nei codici valsusini. Alessandria - 15 aprile 1997

2 - La "Martina" va in discoteca: quale futuro per le tradizioni musicali?


Musica e Religiosità popolare nei codici valsusini

di Enrico DEMARIA

Nell'ambito delle ricerche condotte dal Centro di Documentazione Etnografico Musicale della Valle di Susa sono emerse alcune realtà culturali che possono essere considerate con profitto per comprendere quanto fosse labile il confine fra la tradizione colta e la tradizione popolare nei repertori liturgici musicali ottocenteschi.
Nonostante il fatto che le indagini siano state attivate da pochi mesi sul territorio valsusino, mi sembra interessante proporre le prime valutazioni e gli esiti dei primi sondaggi.
La giustificazione che chiediamo per le palesi lacune in questo studio è motivata dal profondo desiderio di confrontarci sui dati già raccolti relativi ad un argomento che non può certo vantare un compiuto iter conoscitivo dal punto di vista pragmatico, così come non può contare su contributi epistemologici, essendoci pochi etnomusicologi e pochi musicologi interessati alla questione.
Intendo comunque segnalare che la presente comunicazione è relativa allo studio pertinente le tradizioni scritte, mentre è in corso un'indagine sulle tradizioni orali nel bacino della Dora Riparia, sempre a cura del Centro di Documentazione Etnografico Musicale della Valle di Susa, condotta dal prof. Claudio Dina.
La consapevolezza che un'analisi disgiunta fra le fonti notate e le testimonianze orali non risolve con la dovuta scientificità le problematiche globali, ci permette comunque di affermare che quanto riguarda la particolarità delle considerazioni che di seguito proporremo è sicuramente pertinente alle consuetudini musicali e alle questioni relative alla ricezione dei messaggi provenienti dalle istituzioni ufficiali e filtrati dalla cultura popolare.
Sul filone di ricerca delle tradizioni liturgiche orali si sono mosse, in Italia, le ricerche di Leo Levi agl'inizi degli anni '50 sui repertori ebraici e cristiani.
Seguirono poi le ricerche di Roberto Leydi e Carlo Oltolina realizzate negli anni '70 e '80 in val d'Ossola, nell'Alto Verbano, sulla sponda varesotta del Lago Maggiore e in parte del Basso Novarese e della Valsesia.
Sempre sullo stesso argomento, dobbiamo ricordare le iniziative promosse dall'Autunno Musicale a Como e dal Teatro "La Fenice" di Venezia, nonché l'inserimento del progetto "Musica e liturgia" nel programma ufficiale italiano per l'Anno Europeo della Musica (1985) che permise, tra l'altro, la realizzazione di un prezioso cofanetto dal titolo "Canti liturgici di tradizione orale" a cui fu allegato un opuscolo che riporta, a cura di Roberto Leydi, un saggio sullo sviluppo delle ricerche in questo settore.
È stato invece raro l'interesse per le tradizioni liturgico-musicali scritte: mentre si sono prolificati gli interessi per i repertori medioevali da parte di paleografi, semiologi e liturgisti, i repertori più "tardivi" sono stati snobbati, forse per la loro scarsa qualità artistica, e non è stato neppure valutato con attenzione l'impatto ricettivo che questi hanno avuto con la tradizione popolare.
Questo studio si propone di documentare l'attività delle cantorie ottocentesche valsusine, mettendo in luce quanto le stesse fossero attive.
L'intervento del Centro di Documentazione Etnografico Musicale della Valle di Susa, inoltre, testimonia come sia da valorizzare lo studio delle situazioni periferiche (sia sul piano geografico che culturale), anche per comprendere come i meccanismi di assimilazione degli stilemi artistici e culturali fossero trasmessi fra aree contigue.
Nell'ambito del convegno alessandrino "Tradizione popolare e linguaggio colto nell'Ottocento e Novecento musicale piemontese" l'esame di questi canti liturgici ci permetterà di documentare l'interazione fra cultura popolare e colta.
Grazie alle considerazioni relative alle situazioni più peculiari, troveremo inoltre l'occasione per smentire l'idea di comunità "chiuse", custodi di tradizioni incontaminate.
Smentiremo inoltre il pregiudizio di chi considera il canto liturgico popolare come una storpiatura di quello ufficiale, provando il suo sviluppo, parallelo a quello colto e distinto per le tecniche adottate.
Sarà, infine, nostra intenzione valutare la matrice gregoriana dei repertori studiati.
Le domande che sono state formulate sin dalle prime indagini del Centro di Documentazione Etnografico Musicale della Valle di Susa in questo settore riguardavano la consistenza delle documentazioni e delle testimonianze ancora reperibili.
Presto ci si rese conto che la presenza ancora attiva di molte cantorie e di numerose confraternite poteva garantire il buon esito della ricerca.
Infatti i primi ritrovamenti fomentarono la nostra curiosità:
quali repertori musicali erano utilizzati dalle cantorie ottocentesche delle parrocchie valsusine?
quali connotati stilistici caratterizzano le composizioni ritrovate?
quando e come furono trasmessi al popolo e "popolarizzati" questi repertori?
Se a questi interrogativi potremo già dare una risposta, restano invece irrisolte alcune questioni:
chi erano i mediatori culturali responsabili di queste trasmissioni?
come si sono modificati i canti rispetto i modelli originali ed i modelli ufficiali della Chiesa?
in che modo il canto delle confraternite si svincola da quello ufficiale?
Seppure con certe difficoltà stiamo procedendo con le ricerche nella speranza che presto conducano ad esiti che confortino le nostre aspettative.
Restiamo comunque in attesa che altri si confrontino su questo tema, e che giungano conferme alle conclusioni che sono state tratte dalle nostre osservazioni, anche se dobbiamo prendere atto che i nostri etnomusicologi sono più attenti alle tradizioni orali, e che scarso sostegno si può aspettare dai musicologi per lo più poco attenti alla storia della ricezione.
Lo studio che proponiamo si è scontrato anche con la difficoltà che è emersa data la situazione geografica-culturale di confine del territorio oggetto della nostra indagine: è stato spesso intenso il rapporto con le regioni transalpine e questo ha favorito la permeabilità delle sue consuetudini.
La valle di Susa è collocata al margine delle aree culturali occitane e franco-provenzali e si è sempre trovata in una situazione particolarmente transitata, grazie ai valichi dal Moncenisio e del Monginevro.
Anche dal punto di vista religioso è stata una zona di confine e di scontro con la religiosità valdese .
I connotati culturali dei codici studiati sono comunque omogenei nei contenuti e richiedono così una considerazione e una breve analisi dello sviluppo della religiosità cristiana cattolica nella valle.
La zona vanta tradizioni liturgiche-musicali molto antiche, basti pensare alle intense attività del cenobio dei Santi Pietro e Andrea di Novalesa che hanno lasciato preziose testimonianze sulle più arcaiche consuetudini di notazione musicale (X -XII sec.).
Non dimentichiamo inoltre quanto fosse fervida l'attività dei monaci della Sacra di San Michele e di quanto significativa sia stata la stesura dei Breviari ancor oggi conservati .
Dopo il Concilio di Trento, anche in valle di Susa si diffondono le Confraternite che radunano laici con fervidi sentimenti religiosi. Questi furono soprattutto coinvolti in quelle attività dette "paraliturgiche" che si intensificarono nel XVII sec.
Una consuetudine che dimostra la grande devozione e la grande partecipazione dei fedeli è l'allestimento delle Sacre Rappresentazioni perlopiù ispirate, come si può vedere nel successivo elenco, al culto dei santi.
Argomento Paese
S. Pietro e Paolo Exilles
S. Sebastiano Chiomonte
S. Andrea Ramat (fr. di Chiomonte)
S. Barbara Gravere
S. Costanzo Meana
S. Biagio Venaus
S. Stefano Novalesa
S. Cipriano Mattie
Passione di Nostro Signore Giaglione e S. Giorio

Nel 1713 il Trattato di Utrecht unisce l'alta valle di Susa al Piemonte e crea i presupposti per porre le basi per l'erezione di una diocesi valsusina e per riformare le consuetudini liturgiche e religiose della zona.
I commendatari di S. Giusto di Susa sposano l'indirizzo post-tridentino e attraverso Sinodi e visite pastorali riformano i costumi religiosi delle comunità valsusine.
Nel 1748 si erge la diocesi di Pinerolo e l'alta Valle le viene assegnata con Bolla "Sacrosanta" del 23 settembre 1748 di Benedetto XIV.
Arriverà così Clemente XIV che, nel 1772 con la bolla "Quod nobis" del 3 agosto, erigerà la diocesi di Susa.
La storia della chiesa di questa vallata alpina è ancora segnata da un evento particolarmente significativo: la soppressione della sua diocesi nel 1804. Si dovrà aspettare sino al 1817 per rivedere una restaurazione della stessa.
Proprio consultando i documenti del Sinodo Diocesano del 1829, dove emerge uno spirito alquanto conservatore tipico del periodo della Restaurazione, possiamo capire la sobrietà dello stile dei canti ritrovati nei libri liturgici dell'epoca.
Possiamo inoltre comprendere il gusto per quelle austere soluzioni armoniche che ridussero all'essenziale le modulazioni e possiamo giustificare il desiderio di accrescere l'autorevolezza dei canti utilizzando una notazione arcaica e adottando quasi esclusivamente testi ufficiali.
La presenza rilevata di codici a stampa quali graduali , antifonari e propri della Messa del SS. Rosario (1° ottobre) e relativo vespro dimostrano l'influenza della cultura ufficiale nella pratica corale parrocchiale, soprattutto se si considerano gli evidenti segni di usura, testimoni del loro intenso utilizzo.
Ma non era un'esclusiva prerogativa delle autorità religiose attribuire importanza al canto religioso: le Confraternite erano così onorate dal ruolo conferitole da non rinunciare ad esternare la loro magnificenza anche sui testi musicali fregiandoli con decorazioni e belle legature in pergamena, a volte rinforzate da borchie e coprispigoli di ottone .
Durante la ricerca siamo stati contenti di riconoscere una consapevolezza religiosa che sopravvisse agli eventi storici: si sono ritrovate, infatti, trascrizioni del 1863 e del 1886 relative a codici rispettivamente del 1757 e del 1756.
Questa informazione ha certamente confermato la presenza di una tradizione che non è solo avvalorata dalle documentazioni, ma è anche attestata dalle trascrizioni di brani musicali praticati prima della soppressione della diocesi e ripresi dopo la sua restaurazione.
Esaminando ora il rapporto fra gli elementi colti e popolari consideriamo subito che questo non era occasionale.
Gli elementi colti sono sicuramente da rintracciare nel testo, in lingua latina e proprio della liturgia ufficiale, ma emergono anche nell'esame degli aspetti musicali.
Abbiamo trovato brani con polifonie sino a tre voci , estensioni superiori all'ottava e ampi intervalli melodici che richiamano sicuramente repertori colti.
Anche la notazione rileva la matrice erudita e attenta a quella tradizione tardomedioevale e rinascimentale.
Relativamente alla notazione non possiamo trascurare la segnalazione di agogiche e di altre particolarità grafiche come la bicromia per differenziare le voci.
Nella considerazione delle tipologie estetiche ottocentesche non poteva essere dimenticata la radice gregoriana per formalizzare quel cliché che fosse più pertinente alle forme musicali liturgiche e che si potesse contrapporre alle mode "operisticheggianti" che si stavano diffondendo.
Ecco così le melodie configurate per lo più con impianto monodico, moduli musicali arcaicizzanti ed in tonalità che propongono solo il si bemolle o, raramente, il do diesis come sensibile di re minore (tonalità peraltro vicina al 1° modo gregoriano).
Invece gli elementi relazionabili con la musica popolare sono innanzitutto ravvisabili nei moduli melodici utilizzati.
Evidenziabili sono anche le scarse modulazioni che danno una consistenza scarna oltre che austera a queste composizioni.
Considerando ancora gli elementi meno colti evidenziamo la conduzione polifonica delle parti con rarissime eccezioni all'isoritmia.
Prevale un canto a terze con rare quinte (usate perlopiù in cadenze finali) e, ancora più rare, seste e ottave (quest'ultime usate solo in cadenze finali).
Col desiderio di solennizzare maggiormente il canto furono pure impiegate dilatazioni sonore che mortificano il primato della parola (sempre raccomandato dalle disposizioni ufficiali) compensando la difficoltà di comprendere il testo con situazioni musicali che, viceversa, ne esaltano il significato.
A questo proposito abbiamo verificato frequenti ripetizioni testuali, anche in contesti monodici, ed elaborazioni che sono particolarmente evidenti nella Missa pro festis secundae classi, conservata nella Parrocchiale di Gravere, che presenta musicato anche il salmo dell'Introito.
Possiamo così concludere che i repertori documentati testimoniano un'intensa attività rivolta alle pratiche musicali di uso popolare sia di natura liturgica che paraliturgica .
L'importanza che rivestiva la pratica corale era spesso connessa al ruolo delle Confraternite sia per la partecipazione alla Messa, in particolar modo quella celebrata nelle cappelle di loro competenza sia per le disposizioni "registiche" nell'ambito delle processioni .
Ora assistiamo allo sgretolamento della cultura tradizionale e, grazie anche alle disposizioni degli Enti Ecclesiastici e alla discutibile attività di alcuni Uffici Liturgici, vediamo impoverire il ruolo della musica nel contesto devozionale.
Da quanto raccolto emerge una significativa medianità tra le forme musicali "urbane" e "rurali" che chiarisce lo sviluppo di quei fenomeni di popolarizzazione del canto religioso, frenati dalle autorità ecclesiastiche, ma evidenti, comunque, nel corso di questi ultimi due secoli.
Questi repertori segnano il confine tra l'egemonia culturale ecclesiastica e le consuetudini e i gusti popolari, e ci segnalano come, nell'interazione con la cultura orale, essi testimonino che quanto ci è pervenuto è il risultato di una serie di processi intersecati che sarebbe imprudente voler leggere in modo lineare.
Terminiamo citando un pensiero di Roberto Leydi: "Abbandonata ormai l'idea romantica di un "popolo" chiuso in se stesso e custode, forzato, di proprie eredità che si smarriscono nella 'notte dei tempi' e respinta, anche, l'ipotesi di una cultura orale quale manifestazione decaduta di acquisizioni dall'alto, siamo consapevoli che la storia è stata interamente vissuta anche dal cosiddetto "mondo popolare". Attraverso i secoli, le classi popolari si sono trovate continuamente a confrontarsi e scontrarsi con le egemonie e da questo rapporto, spesso traumatico, si è sviluppato, anche, il repertorio musicale, profano e religioso".

APPENDICE

Scheda relativa al Kyriale conservato nell'Archivio del Seminario di Susa.

Ms., 1863

II, 200, 4, II, 4 pp. 535x390 mm.

Segnatura: XVI-A-6
Legatura in piena pergamena con coprispigoli in ottone borchiato.
Sulla 1ª carta di guardia dentro un fregio con decorazioni floreali: Giuseppe / Francesco / Gey / 1836.
Inoltre: Dal predetto passò al suo nipote il sacerdote Gey Giuseppe / ex Parroco di San Giorgio in Ferrera / e poscia Rettore di S. Carlo in Susa, / della compagnia del SS. Nome di Gesù / a cui lo lasciò in occasione di sua / morte.
Dietro il piatto ant. della legatura: indice delle messe.
Sull'ultima c. di guardia contornato da fregi: Indice.
Rigatura rossa, altri segni neri. Le decorazioni sono rosse e nere.

1. [Messa. T. Re min.]
pp. 1-13

Gloria, 2/4; Credo, 3/2; Sanctus, 2/4; Agnus, 2/4.

2. [Messa. T, B. Fa]
pp. 14-42

Gloria, 3/4; Credo, 3/4; Sanctus, 3/4; Agnus, 3/4.
Segni: D. = Due
T. = Tutti
S. = Solista
A p. 30: Adagio

3. [Messa. T. Do]
pp. 43-53

Gloria, 2/4; Credo, 2/4; Sanctus, 2/4; Agnus, 2/4.

4. [Messa. T. La min.]
pp. 54-64

Gloria, 2/4; Credo, 2/4; Sanctus, 2/4; Agnus, 2/4.

5. [Messa. T. Fa]
pp. 65-78

Gloria, 2/4; Credo, 2/4; Sanctus, 2/4; Agnus, [2/4].

6. [Messa. T. Fa]
pp. 79-92

Gloria, 3/4; Credo, 2/4; Sanctus, 2/4; Agnus, 2/4.

A p. 79 segni dinamici a matita: PP cresc. FF.

7. [Messa. T. Re min.]
pp. 93-103

Gloria, 2/4; Credo, 2/4; Sanctus, 2/4; Agnus, 2/4.

8. [Messa. T. Re min.]
pp. 104-114

Gloria, 2/4; Credo, 2/4; Sanctus, 2/4; Agnus, 2/4.

9. [Messa. T. 3° modo]
pp. 115-126

Gloria, 2/4; Credo, 2/4; Sanctus, 2/4; Agnus, 2/4.

10. [Messa. T. La min.]
pp. 127-138

Gloria, 2/4; Credo, 2/4; Sanctus, 2/4; Agnus, 2/4.

11. [Messa. T. Fa]
pp. 139-149

Gloria, 2/4; Credo, 2/4; Sanctus, 2/4; Agnus, [2/4].

12. [Messa. T. Fa]
pp. 150-161

Gloria, 2/4; Credo, [2/4]; Sanctus, 2/4; Agnus, 2/4.

13. [Messa. T. 7° modo]
pp. 162-172

Gloria, 2/4; Credo, 2/4; Sanctus, 2/4; Agnus, [2/4].

14. [Messa. T. Do]
pp. 173-184

Gloria, 2/4; Credo, 2/4; Sanctus, 2/4; Agnus, [2/4].

15. [Messa. T. Do]
pp. 185-195

Gloria, C; Credo, C; Sanctus, C; Agnus, [C].

16. [Credo. T1, T2. Do]
pp. 196-200

Contiene inoltre:

A) rilegate prima dell'ultima c. di guardia 4 p. con grafia diversa dalla precedente.

Dies Irae detto il sublacense [T. Re min.]

B) rilegato dopo l'ultima c. di guardia 4 p. con grafia diversa dalle precedenti.

[Salve Regina. T. Fa]
1 p.
In calce: Perottino giovanni Vincenzo li 25 giugno 1862 in Ferrera.

[Salve Regina. T. Fa]
2 p.
In calce: Perottino giovanni Vincenzo li 26 giugno 1862 in Ferrera.

[O salutaris hostia. T. Re min.]
[Deus Tuorum militum. Inno. T]
3 p.
In calce: Perottino giovanni Vincenzo li 29 giugno 1862 in Ferrera.

[Toni salmodici. T]
4 p.
Toni: 1. Casinese, 3 Severiano, 5 Francese, 5 Casinese, 6 Romano, T. Ispanus.
In calce: Perottino giovanni Vincenzo li 27 giugno 1862 in Ferrera / nel tempo che ha tradotto aveva 14 anni.

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La "Martina" va in discoteca: quale futuro per le tradizioni musicali?

Relazione di Enrico DEMARIA


Alla sera i giovani di montagna non bussano più, come facevano i loro nonni, alla stalla degli amici quando la "veglia" serale rappresentava anche l'opportunità di rinvigorire il legame con la cultura tradizionale, quando il ritrovo offriva l'occasione per ascoltare le storie e le leggende, i canti, le filastrocche e le conte...
...tutto cominciava con La Martina.
La canzone della Martina era diversa in ogni paese e, quando veniva intonata all'inizio della serata in forma di dialogo tra l'ospite e gl'invitati, rapportava immediatamente l'individuo con la propria comunità identificandolo consapevolmente in una cultura che sentiva propria.
Ora diventano rare le occasioni in cui il giovane incontra la cultura locale e la tradizione ha subito fratture così forti che neppure lo sforzo delle generazioni che conservavano il loro ricordo spesso è valso per mantenerle vive.
La cultura egemone non ha mai oppresso, come ora, quelle subalterne...
Qual'è, allora, il futuro della cultura popolare e delle tradizioni musicali che le sono connesse?
Quali sono le modalità per una riorganizzazione e una riproposta delle musiche tipiche delle nostre aree culturali?

Per dare una risposta a questi interrogativi è fondamentale valutare ciò che fa da tramite tra l'individuo desideroso di ritrovare un'identità culturale e la tradizione.
Il canto popolare, canale privilegiato nel corso della storia per questo tramite, presenta alcune difficoltà di tipo ricettivo che hanno compromesso e compromettono tutt'ora l'approccio con questi repertori musicali.
Il patrimonio culturale che la tradizione offre, infatti, non si presenta in modo ben delineato e la tradizione stessa non è un dato oggettivamente definito.
Non si può distinguere nettamente la vera tradizione (originale, verace, genuina, ...) da quella epigonale, vale a dire da quella prodotta senza alcuna consapevolezza 'morale' da imitatori ispirati e condizionati nelle loro azioni e nei loro pensieri dai costumi trasmessi dalle generazioni precedenti.
Quest'ultimi pesano anche sul nostro giudizio, condizionano lo storico e il ricercatore. Le indagini sulle questioni etnografiche sono, inevitabilmente, condizionate dalla tradizione stessa e chi si è dedicato alla rivalutazione e alla rivitalizzazione del patrimonio musicale popolare non è certo escluso da questo condizionamento.
I musicisti che s'impegnano in questo senso sono di norma estranei alla cultura a cui intendono riferirsi ed entrano quindi in rapporto con essa tramite un processo propriamente intellettuale.
L'etereogeneità e la gradualità di questo rapporto generano contraddizione nelle musiche che rientrano in questo ambito: pensiamo alle interpretazioni accademiche con attitudine imitativa tipiche, per esempio, di Sinigaglia, con tentativi di preservare l'integrità dell'originale.
Ancor più altre interpretazioni accademiche, come quelle di Michele Lessona, dallo stile più inventivo, si sono distinte per caratteristiche tutt'altro che popolareggianti.
Interessanti, poi, sono l'esecuzioni dove vengono assimilati gli stilemi tecnici e formali della musica tradizionale con l'intenzione di veicolare nuovi e personali contenuti.
Citiamo, infine, l'elaborazioni che, in eclettiche sintesi, ripropongono elementi provenienti da ambiti culturali e tradizioni diverse: pensiamo, per esempio, ai gruppi rock che si rifanno alla tradizione musicale occitana come i "Massilia sound system", "Li troubaires de Coumboscuro" o il gruppo "Lou Dalfin".
Arriviamo così al compromesso con l'industria dello spettacolo che ha promosso lo sfruttamento di questi temi e di questo "materiale" snaturandolo completamente con accostamenti ad elementi provenienti dalla musica colta, di consumo o dal jazz, tradendone completamente la prassi esecutiva.

Ma la testimonianza più perniciosa è quella di alcune realtà associative che veicolano attraverso la musica falsi contenuti.
Basti l'esempio della recente pubblicazione "Canti nostri" edita da Susa Libri nel giugno del 1995.
Gli autori (Mauro Carena e don Walter Mori) senza alcun scrupolo hanno sostenuto una iniqua tesi deterministica: "Orbene, se è vero che prima dell'avvento dei mezzi d'informazione di massa le diverse comunità avevano tra esse scarsa comunicabilità, al contrario le varie popolazioni delle Alpi raggiunsero autonomamente sviluppi culturali uniformi", ripeto, uniformi... già uniformi perchè, se così non fosse stato, i due personaggi citati non avrebbero potuto pubblicare un'antologia di canti con La montanara, La mula de Parenzo, Tu scendi dalle stelle e via dicendo fino a Ciao Turin e a Quel mazzolin di fiori.
Sarebbe stato sicuramente meno facile vendere una raccolta comparata di versioni della Martina, sottolineandone le peculiarità di ognuna.
La scarsa scientificità di questa come di altre pubblicazioni, a sua volta, ha generato un'altra problematica: la diffidenza che gli studiosi accademici hanno nei confronti dei ricercatori sul campo.
La questione però è reciproca: come gli accademici spesso non tengono conto dei risultati anche seri dei ricercatori, viceversa questi non considerano i risultati delle indagini degli accademici.
Insomma un approccio con quella che si definiva tradizione, bisogna riconoscerlo, non è facile proprio per le contraddizioni che caratterizzano, oggi, la sua ricezione.

Nei giovani, poi, quei modelli comportamentali fondati sui processi denominati "identità" e "identificazione" condizionano fortemente questo approccio.
Considero identità l'attività mediante la quale il singolo definisce una differenza osservabile tra sé e gli altri; identificazione, il comportamento mediante il quale ci si confonde con gli altri.
La condizione soggettiva che ne risulta è alternativamente richiamata da un modello o dall'altro soprattutto nei giovani che per motivi di studio o lavoro son pendolari.
Se l'entropia che caratterizza lo spostamento, come ha dimostrato Gian Luigi Bravo 1, è proporzionale all'interesse per le tradizioni rurali, c'è da augurarsi che i giovani reagiscano positivamente a un ambiente dove la compresenza di più formazioni sociali nel sistema societario provoca il competere e il sovrapporsi di stimoli eterogenei.
Sarebbe opportuno valutare la questione rifacendosi agli studi di Alberto Mario Cirese 2 sul rapporto fra cultura egemone e culture subalterne, così come sarebbe produttivo rivalutare gli schemi d'analisi delle società rurali forniti da Henry Mendras 3 per valutare anche la funzione musicale all'interno della collettività paesana così come la valenza dei mediatori tra le collettività locali e la società inglobante.
Grande importanza andrebbe portata anche all'intervento didattico degl'insegnanti che, contestualizzando le soluzioni, propongono lo studio di canti o musiche proprie della tradizione locale: i frutti già raccolti da chi s'è preoccupato dell'istituzione di corsi su balli e su strumenti tradizionali lo possono confermare.

Ma il desiderio di ritrovare una caratterizzazione etnica da parte di alcuni giovani lascia ben sperare; esso si manifesta anche con la loro partecipazione attiva in gruppi ecologici, culturali e musicali: d'altronde questo desiderio non è che una risposta al disordine, sempre più manifesto, della complessità sociale.
Le soluzioni sono comunque da considerarsi in un'ottica dinamica che, trovando validi riferimenti supportati da serie ricerche etnomusicologiche, permettano la produzione di una letteratura musicale sulla scia della tradizione.
Riteniamo così di fondamentale importanza una manovra culturale come quella intrapresa dagli "Amici della Musica" di Meana con la costituzione di un Centro di Documentazione etnomusicale, perchè solo da una documentazione analizzabile e comparabile risulterà possibile ricostruire la trama spezzata nella nostra trasmissione di memorie.
Restano certo delle questioni aperte: la diversa qualità e rilevanza, per esempio, che possono assumere le iniziative, i movimenti, le riproposte che si rifanno alla particolarità contadina, locale o comunitaria, e la stessa diversa qualità e rilevanza della sopravvissuta tradizione rurale.
Credo, comunque, che in un'ottica multiculturale, non ci sia nulla di vergognoso nel difendere con dignità i valori che la nostra tradizione può ancora offrire.


Note:
1 - Gian Luigi Bravo, Festa contadina e società complessa, 1984, Milano, Angeli.
2 - Henry Mendras, Schema d'analyse de la paysannerie occidentale, in M.Jollivet - H.Mendras, Les collectivités rurales françaises, vol. II, 1974, Parigi.
3 - Alberto Mario Cirese, Alterità e dislivelli culturali nelle società dette superiori, in "Problemi", 8, 1968, pp.352-360.